In Sicilia ci sono 1222 procedimenti per stalking, iscritti e definiti nei tribunali. E' quanto risulta dall'indagine effettuata dal Ministero della Giustizia che ha preso in esame 14 sedi di tribunale per gli anni 2011-2012. Veniamo alla provincia di Catania e analizziamo i dati con il presidente del Centro antiviolenza "Thamaia Onlus", Loredana Piazza
Catania Today
Daria Raiti 15 Settembre 2014
Atti persecutori nei confronti di una madre e di sua figlia: un giovane, diversi anni fa, avrebbe iniziato a molestare la ragazza all’epoca compagna di scuola. Appostamenti sul pianerottolo di casa, telefonate notturne, improvvise apparizioni alle lezioni universitarie, messaggi intimidatori. Il ragazzo avrebbe inoltre creato diversi profili su Facebook con fotomontaggi e frasi offensive nei confronti della vittima e della madre, riuscendo persino a far interrompere il contratto di fornitura elettrica delle due donne. Non sarebbe bastato un primo arresto, un successivo ordine di custodia cautelare in carcere prima e i domiciliari poi. Scontata la pena le donne sarebbero tornate nuovamente vittime di situazioni moleste. E’ solo un esempio. Un caso di stalking come tanti che, però, grazie al coraggio di queste donne catanesi, si è concluso con l’arresto del 24enne molestatore.
Vogliamo, infatti, esaminare questo reato da un profilo diverso. Trovando anche un segnale positivo: l’aumento delle denunce per stalking negli ultimi 12 mesi. Nel 2009, con la legge che ha introdotto questo reato, le denunce erano state solo 5.200. Oggi in tutta Italia sono 11.436 i procedimenti per stalking e di questi 8.453 sono andati a sentenza. E, in Sicilia, ci sono 1222 procedimenti per stalking – iscritti e definiti nei tribunali – e ciò colloca la regione terza in Italia dopo Lombardia e Lazio. E’ quanto risulta dall’indagine effettuata dal Ministero della Giustizia che ha preso in esame 14 sedi di tribunale per gli anni 2011-2012. Veniamo alla provincia di Catania e analizziamo i dati con il presidente del Centro antiviolenza “Thamaia Onlus”, Loredana Piazza.
Quante donne avete “ascoltato” in questi anni?
“Facendo riferimento agli anni esaminati dal Ministero, nel 2011 abbiamo seguito 171 donne nella provincia etnea: il 9% di queste subiva stalking. Nel 2012, invece, ne abbiamo seguite 206, delle quali l’8% subivano questo tipo di molestie. Per questi anni presi in considerazione, non abbiamo raccolto il dato specifico di denuncia per stalking. Tuttavia, a volte la donna vittima di comportamenti assillanti e ossessivi non denuncia il suo stalker, soprattutto quando è l’ex. In particolare, occorre fare una distinzione. Nel caso in cui lo stalker è un estraneo (es. corteggiatore), all’inizio la donna non denuncia perché è difficile avere una percezione della gravità della situazione. Del resto, prima che si possa parlare di reato, occorrono delle condotte reiterate, proprio in quanto non si può avvertire una persecuzione al primo mazzo di rose e alle prime telefonate galanti. Quando poi questi comportamenti si ripetono in maniera tale da privare la donna della libertà, ecco che si ricorre alle denunce.
Più complicato il caso in cui lo stalker sia l’ex-marito/fidanzato; qui ci si trova di fronte ai meccanismi tipici della violenza domestica, denunciare è complicato e tenere lontano l’ex diventa molto difficile (spesso per via dei bambini, a loro volta vittime strumentalizzate)”.
Come vive una vittima di stalking?
“La sua vita diventa particolarmente difficile: molte donne, per timore di ricevere nuove molestie, hanno paura di uscire di casa, non riescono a mantenere il proprio lavoro, sono costrette a cambiare numero di telefono, non sono in grado di instaurare nuove relazioni e sono obbligate a modificare le relazioni già esistenti: diventa praticamente impossibile salvaguardare la propria quotidianità. La ricerca ha dimostrato che molte vittime, in seguito a tali esperienze, soffrono di ansia, depressione o disturbo post-traumatico da stress. Questo stato di perdurante ansia, del resto, è stato riconosciuto anche dal Legislatore, che lo ha inserito quale elemento costitutivo della fattispecie di reato prevista dal codice penale.Esiste anche il pericolo che la vittima possa subire vere e proprie forme di violenza da parte dello stalker. Questo, in particolare, accade laddove lo stalker sia un ex-partner.Anzi, vorrei precisare che la maggioranza delle donne che subiscono maltrattamenti in famiglia dal partner, una volta allontanata dall’uomo violento, continua a subire comportamenti persecutori, che spesso si traducono in atti di violenza fisica”.
E’ possibile tracciare un identikit dello stalker?
“Non esiste un profilo unico dello stalker. Appare azzardato includere in una o poche categorie diagnostiche gli eventuali aspetti psicopatologici che caratterizzano l’autore di questi reati. Innanzitutto non è affatto scontato che tutti gli stalkers siano affetti da una qualche forma di disturbo psichico, a fronte di casi palesi come nel “delirio erotomane” esistono molestatori in cui non si constata un vero e proprio quadro psicopatologico o l’uso (abuso) di sostanze come la cocaina o l’alcol. Tuttavia, alcuni studiosi, per comodità espositiva, sulla base dei bisogni e dei desideri che innescano il comportamento molesto, individuano cinque tipologie di stalkers:“il risentito”, “il bisognoso di affetto”,”il corteggiatore incompetente”,”il respinto” ed il “predatore”. Nel nostro centro i casi di stalking sono quasi tutti legati a ex partner”.
Come aiutate le donne che si rivolgono a voi?
“Nel nostro centro abbiamo voluto realizzare un ‘luogo altro’ che permetta alla donna di raccontare il proprio vissuto e di ricevere ascolto; di acquisire consapevolezza delle proprie qualità, competenze e risorse per elaborare difese e soluzioni per sé e per i propri figli; di tracciare insieme all’operatrice, un percorso di superamento e di uscita dalla violenza, attraverso un progetto che vada verso la conquista dell’autonomia personale, la ricostruzione della stima e della fiducia in se stessa.
Questo attraverso una serie di servizi: Un servizio di filtro gratuito attraverso la relazione con un operatrice di accoglienza specializzata sulla violenza di genere, con cui la donna effettua un “percorso di fuoriuscita dalla violenza” della durata di circa sei mesi. Interventi diretti di tipo psico-terapeutico individuale e di gruppo, educativo per migliorare il rapporto madre- figlio/a, consulenze legali, sostegno paralegale tramite relazioni e CTP. Il collegamento con le risorse presenti sul territorio (consultori, tribunali, servizi psichiatrici, forze dell’ordine, servizi sociali di base, privato sociale, ecc.) che consenta di fornire un aiuto concreto e immediato, un rifugio, un lavoro, un alloggio, aiuti sanitari (lavoro di rete) ed effettuare un “invio curato”. In conclusione chiedere aiuto è importante. Le donne non sono sole; nell’immediatezza ed in caso di pericolo ci si può rivolgere alle Forze dell’Ordine; oltre che adottare le misure del caso, hanno oggi anche l’obbligo di comunicare i recapiti dei Centri Antiviolenza presenti sul territorio. Ci si può anche rivolgere ai Servizi territoriali istituzionali. Ricordo che il nostro servizio è attualmente garantito solo da progetti a scadenza, e che nessun Ente copre nemmeno le spese di gestione dei locali e delle utenze. Considerato che si tratta di un servizio che ha elevata utenza e che è di interesse pubblico, ci sembra assurdo doverlo chiudere e abbandonare chi ha bisogno di aiuto. Ma, se continua cosi, saremo costrette a farlo, poiché abbiamo serie difficoltà a pagare l’affitto. Potete aiutare le donne anche donando il 5xmille: C.F. 93110050874. Oppure facendo una donazione come indicato nel sito: www.thamaia.org”.